Draghi, Giorgetti e la liaison Ue-Italia

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Mario Draghi e Giancarlo Giorgetti

di Massimo Lodi

Più che al quarantesimo della Lega, in cui sbarcò a qualche anno dalla fondazione traversandone poi tutte le stagioni, Giancarlo Giorgetti sembra interessato al quinquennio europeo dopo il voto del 9 giugno. Che l’idea sia di lui o no, circola da tempo. Obiettivo: il possibile insediamento nella futura Commissione Ue, con ovvio rango di ministro economico. Giorgetti non ha mai risposto a domande sull’argomento. Sa d’avere temibili concorrenti in Fratelli d’Italia, dove la fila per chiedere alla Meloni un posto a Bruxelles s’allunga ogni giorno di più. E idem nel resto della maggioranza, specialmente dentro Forza Italia, che aspetta l’apertura delle urne prima di lanciare avances.

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Massimo Lodi

Ma fondamentale sarà altro. Ovvero la scelta della premier d’entrare comunque nel futuro governo continentale. Con una strambata politica non da poco (i conservatori assieme a popolari, liberali, verdi e magari socialisti residuali), tuttavia concessa dall’emergenza attuale. Cioè la guerra -anzi, le guerre- e relativi rimbalzi. In fondo le converrebbe dar ragione a Macron: visto che il conflitto Ucraina-Russia non si risolve; e i conti pubblici di molti Paesi dell’Unione perdono acqua; e si profila all’orizzonte d’autunno il pericolo Trump; e con la Cina urge cambiare rapporto; visto questo più molto altro, non sembra aria/tempo d’esecutivi di parte e invece d’insieme. Perciò addio all’ipotesi d’una Von der Leyen bis e neppure alla sua sostituzione con Roberta Metsola, presidente uscente del Parlamento di Strasburgo: ci vuole una personalità di diverso standing sullo scenario internazionale.

Ergo: il pensiero corre a Draghi, che già l’Ue ha arruolato da tempo, chiedendogli d’ottimizzare la competitività dei singoli Paesi. All’Italia giova (banale, ma non all’occhio di tutti i connazionali) averlo al comando dell’Europa: certo mostrerebbe un valore aggiunto di sensibilità verso le nostre richieste di proroga del deficit; e di comprensione sui tempi attuativi del Pnrr. Con Supermario nella stanza dei bottoni di Palazzo Berlaymont, Meloni si sentirebbe più sicura in quella di Palazzo Chigi. E Giorgetti o più sicuro di trovar posto nella Commissione presieduta dall’ex banchiere (di cui fu ministro dello Sviluppo economico dopo il Conte2) o più sicuro di diventare intoccabile -perché suo uomo di fiducia- alla guida del Mef nella seconda parte della legislatura.

Entrambi persuasi dell’urgenza di varare finalmente un mercato unico dei capitali in Europa, altrimenti destinata a soccombere sul piano internazionale, Draghi e Giorgetti garantirebbero, con la loro liaison, sia nel caso 1 sia nel caso 2 una tranquillizzante copertura a Meloni. E di fronte alla scelta d’evidente vantaggio nazionale, né Tajani né Salvini se la sentirebbero d’obiettare. Riflessione che augurabilmente spingerà la presidente del Consiglio a non farsi bruciare dalla concorrenza francese l’offerta a Draghi. Chissà se ne sta argomentando con Giorgetti, a margine delle celebrazioni per il quarantesimo della Lega.

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