Il fascismo che (non) c’è e la “resistenza” del Checco

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Checco Lattuada allo stadio di Busto Arsizio in una foto di repertorio

Sostiene Checco Lattuada (ancora lui) noto esponente della destra/destra di Busto Arsizio e della provincia di Varese, che i post fascisti hanno già fatto i conti con la storia. Ragion per cui, l’intemerata di Giorgia Meloni contro i veri o presunti, più veri che presunti, rigurgiti a favore del Ventennio e di tutto quanto supportò quel tragico periodo, nazismo e antisemitismo compresi, vanno considerati per quello che sono. Appunto, che cosa sono? L’inchiesta di Fanpage sul ritorno dell’ideologia mussoliniana o, peggio, nazifascista, ha dato la stura all’ennesimo, acceso dibattito sulla presenza all’interno di Fratelli d’Italia di gruppi estremisti, i cui appartenenti hanno il culto della camicia nera e del saluto romano. Per tirarla breve, fascisti. Che cosa se no? A costoro, dice il Checco senza peli sulla lingua, bisogna portare rispetto. E se non lo dice apertis verbis lo fa capire papale papale nelle dichiarazioni delle ultime ore ai giornali. Di cosa parla Checco Lattuada? Di una premier che, arrivando da lì, si sarebbe ammorbidita a tal punto da sembrare “vecchia come Biden”.

Una Meloni diventata organica al sistema. Ma se così non fosse non potrebbe governare un Paese come l’Italia, mantenere fede ai patti internazionali, schierarsi, piaccia o no, con le democrazie occidentali, restare (di nuovo: piaccia no) in Europa. Tutto questo però sarebbe un errore: per chi ancora saluta romanamente ci vorrebbe la rivoluzione, termine più consono alla sinistra che non alla destra, a meno che non sia la rivoluzione fascista.

Sicuro che i conti con la storia siano stati fatti fino in fondo? Lattuada, che Fratelli d’Italia escluse non a caso dalle elezioni regionali con dispiacere del suo principale sponsor, il sindaco Emanuele Antonelli, è un tipo che fa spesso parlare di sé. Come quella volta che venne processato, e assolto, per accuse di apologia a margine della festa per  il compleanno di Hitler. O come le altre volte beccato alla stadio della Pro Patria a tendere il braccio nell’inequivocabile saluto romano, così da essere colpito da Daspo. Per finire con la foto provocatoria nel Giorno delle Memoria, naturalmente pubblicata su Facebook per sbaglio. “Goliardate” minimizza lui. Forse ha ragione, anche se sullo sfondo della goliardia fa sempre capolino l’ideologia.

Busto Arsizio, lo ricordiamo, è insignita di medaglia di bronzo alla Resistenza, non può essere considerata una città fascista. Come non lo è la provincia di Varese, né, tanto meno, l’Italia. Però c’è un però che ci obbliga a tenere alta la guardia: nel Varesotto agiscono i Do.Ra., compagine che non fa mistero di apprezzare l’esoterismo addirittura delle SS. Circoscritti, controllati, soppesati, fino a prova contraria, inoffensivi. Però presenti, presentissimi nel sottobosco politico. Di tanto in tanto spuntano personaggi che inneggiano a Hitler (è accaduto proprio a Busto), altri che, candidandosi alle elezioni amministrative (Lonate Pozzolo) mettono in mostra il tatuaggio della svastica. Fino a un ristorante di Gavirate, la Corte dei brut, con legami con l’estremismo di destra e non solo, al centro di inchieste giornalistiche nazionali. Insomma, di tutto un po’.

Bisogna preoccuparsi? Le opinioni sono diverse. Per quanto riguarda Checco Lattuada c’è chi ne sottolinea l’impegno sociale anche attraverso la rinvigorita Comunità Giovanile, in passato centro culturale e di aggregazione di giovani, che oggi prova a tornare in auge grazie a lui. Le considerazioni si contrappongono. Pochi però prendono posizioni pubbliche contro, molti tengono il profilo basso, fanno finta di niente, al massimo spettegolano. Tanto, si sa, i polveroni politici in Italia, al centro come in periferia, durano lo spazio di un amen. Poi si passa ad altro. L’unico che resiste (ah, la Resistenza) è sempre lui: Francesco “Checco” Lattuada.

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