Ordine pubblico e sindaci: ma che colpa abbiamo noi?

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Diffuso e preoccupante il fenomeno delle risse tra i più giovani (foto di repertorio)

Che cosa può fare un sindaco per garantire l’ordine pubblico? Tutto, niente, qualcosa. La materia è delicata e molto complessa, manco a dirlo. Lo è soprattutto di questi tempi per quanto accade in giro per l’Italia, risse, vandalismi, furti, aggressioni, violenza gratuita, microcriminalità, assembramenti che sfociano in devastazioni e in tutto quanto stravolge la tranquillità pubblica. Potremmo soffermarci a lungo sugli episodi che hanno scombussolato, anzi, che stanno scombussolando anche Varese e le città della provincia, come Gallarate e Busto Arsizio e non solo. Le cronache riportano quotidianamente episodi preoccupanti, che trovano fertile humus in un tessuto sociale sfilacciato, traboccante disvalori e scarse motivazioni etiche e morali.  Un discorso che ci porterebbe lontano e che coinvolge, tra l’altro, i modelli educativi e il facile sensazionalismo dei media, pronti ad esasperare anche le banalità pur di fare audience.

In tutto questo che cosa c’entrano i sindaci? Sono chiamati in causa dalla stessa normativa, che in precisi casi li considera autorità di pubblica sicurezza. Una semplificazione, la nostra, per arrivare subito a sottolineare come l’ordine pubblico faccia riferimento in primis al prefetto, al questore, alle forze dell’ordine. Il sindaco ha sì alcune possibilità di intervenire, con ordinanze specifiche, tese a prevenire pericoli che minacciano l’incolumità collettiva e la sicurezza urbana. Ma non può sostituirsi ad altre autorità istituzionali, deve limitarsi al contorno, che non è poco. Può, ad esempio, vietare la vendita di bevande alcoliche nei luoghi più esposti, può chiudere strade, limitare l’apertura di locali pubblici, partecipare all’organizzazione, sempre in accordo con prefettura, polizia e carabinieri, di pattugliamenti per dissuadere i malintenzionati, mettendo in gioco la  polizia urbana. Infine, può gestire la rete delle telecamere per tenere sotto controllo le zone più a rischio della sua città. Insomma, può fare qualcosa, come dicevamo in precedenza, ma i suoi poteri sono delimitati. Il compito più specifico, diretto e al momento risolutivo, al di là delle ordinanze sindacali, è demandato alle forze dell’ordine, che rispondono ai vertici dello Stato.

Sappiamo tutti qual è il problema: l’esiguità numerica degli organici. Poche pattuglie, scarsità di risorse, territori vasti da presidiare. In molte situazioni, secondo diversi pareri, occorrerebbe addirittura l’intervento dell’esercito. E qui la questione sfugge davvero alle competenze dei primi cittadini, i quali possono però agire per vie politiche. Se vogliono e se ne hanno l’autorevolezza hanno facoltà di fare pressione sui loro referenti a Roma. Siamo al punto: la politica. La quale, senza generalizzare, non perde occasione per dimostrarsi inutile, se non litigiosa e priva di idee. Gli esempi? Le opposizioni di centrodestra accusano i sindaci di centrosinistra di fare poco o nulla per garantire l’ordine pubblico; viceversa, è il centrosinistra all’opposizione che punta il dito contro primi cittadini e giunte di centrodestra. A dimostrazione che per la politica non conta il gioco di squadra per affrontare e risolvere (sempre che sia risolvibile) una questione che riguarda tutti;  conta invece il gettare la croce addosso agli avversari.

Così, invece delle proposte, assistiamo al solito rosario di improperi e attacchi spesso personali. Salvo schierarsi subito in difesa di amministratori civici presi di mira dagli oppositori. In quel caso, al di là delle effettive competenze e dei risultati, fa premio l’appartenenza, non certo il merito. In questo modo la sicurezza diventa motivo di scontro, ed è a quel punto, per colpa della politica politicante, che sindaci e assessori danno seriamente l’impressione di non avere alcuna voce in capitolo per quanto concerne l’ordine pubblico.

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