Suicidi in carcere, gli avvocati di Varese: «Fermare la scia di sangue»

VARESE -Mobilitarsi per cambiare il carcere in Italia e dire stop ai suicidi dietro le sbarre. «Fermare la scia di sangue»: un appello che arriva dalla Camera Penale di Varese, che oggi – giovedì 20 giugno – si è riunita a Villa Mirabello per parlare degli aspetti più preoccupanti del fenomeno e del modo in cui affrontarlo, sotto il profilo umano e con gli interventi normativi.

Il numero dei suicidi

L’evento era stato annunciato partendo da un numero: 44 suicidi in carcere dall’inizio dell’anno. Che sono diventati 45 proprio mentre l’incontro odierno era in corso, con la notizia arrivata dal penitenziario di Novara, dove un 20enne di origine straniera è stato trovato impiccato nella sua cella, proprio nelle scorse ore.

Lo stato d’animo del detenuto

Due, come detto, i canali all’interno dei quali indirizzare gli interventi. A cominciare da una maggiore attenzione e sensibilità allo stato d’animo dei detenuti. Il concetto chiave, ha spiegato il dottor Franco Grillo, psichiatra che da anni opera all’interno della casa circondariale di Varese, è non sottovalutare le reazioni di chi sta in carcere nei momenti più delicati della detenzione: «I periodi a ridosso dei processi, quelli che seguono ad una condanna, i mesi che precedono la scarcerazione, i primi dopo l’ingresso in carcere, ma anche quelli successivi alla diagnosi di una malattia severa o alla perdita di un parente stretto». E’ in queste fasi, ha sottolineato l’esperto, che il pensiero di farla finita può iniziare a mettere le radici nella testa di una persona privata della libertà.

Gli interventi più urgenti

C’è poi il piano degli interventi concreti, a cominciare da quelli più urgenti: «L’amnistia, l’accesso alla liberazione anticipata in maniera più rapida, che non significa meno controllata, e la riqualificazione delle carceri affinché il tempo trascorso dietro le sbarre abbia davvero senso», ha affermato l’avvocato Fabio Margarini, presidente della Camera Penale di Varese. Di liberazione anticipata tratta il disegno di legge firmato dal deputato Roberto Giachetti (Italia Viva), che arriverà in aula alla Camera la prossima settimana, con la proposta di passare da 45 a 60 giorni di sconto di pena, ogni sei mesi, per buona condotta.

L’alternativa al carcere

Dalla liberazione anticipata alle misure alternative al carcere, altro tema centrale: «Le esperienza extra murarie hanno nella quasi totalità dei casi esito positivo, e i fallimenti sono limitati», ha evidenziato la dottoressa Giulia Vassalli, magistrato di sorveglianza del Tribunale di Varese. C’è però un paradosso nel nostro sistema: a volte in carcere non finisce il soggetto pericoloso, ma quello che non ha i mezzi (ad esempio una casa dove stare) per accedere a misure diverse dalla detenzione.

Carcere in cifre

I numeri che riguardano il fenomeno sono tanti e fanno riflettere: 16 i detenuti in attesa di giudizio che si sono tolti la vita dall’inizio del 2024; 61mila detenuti a fronte di una capienza massima nelle carceri italiane di circa 51mila posti; 300 detenuti in più ogni mese e un tasso di suicidio (dato del 2019) che per la popolazione carceraria ha raggiunto 8,7 casi su 10mila persone: quello della società fuori dal carcere si è fermato a 0,66.

Malattie mentali

I detenuti con problemi psichiatrici dovrebbero essere “sorvegliati speciali” in tema di prevenzione dei suicidi e della violenza più in generale. Ma allo stato attuale c’è carenza di misure specifiche per il trattamento psichiatrico in carcere, dove spesso sono presenti soggetti malati e socialmente pericolosi che dovrebbero stare altrove, cioè nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems). Ma le liste d’attesa per accedere sono lunghe e i posti, nelle strutture che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari, sono limitati.

Donne e carcere

Limitati, e talvolta quasi del tutto assenti, quando si parla di carcere, sono i riferimenti alle condizioni delle donne dietro le sbarre. Se ne sta occupando l’avvocato Elisabetta Brusa, come membro della Commissione carcere dell’Organismo congressuale forense: «Le detenute in Italia sono quasi 3mila, un quarto della popolazione carceraria. E ci sono solo quattro case circondariali dedicate alle donne. Celle, servizi igienici, spazi all’aperto: quasi tutto, in carcere, è pensato per i detenuti. E non per le detenute. Ci sono vere e proprie discriminazioni nei trattamenti, dalla cura dell’igiene alle visite di prevenzione. Parlarne, e continuare a farlo, è il primo passo per provare a cambiare le cose».

Per fermare i suicidi in carcere, doppio appuntamento della Camera Penale di Busto

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