VISTO&RIVISTO Battuta d’arresto per un regista che ha quasi sempre stupito

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di Andrea Minchella

VISTO

HIT MAN- KILLER PER CASO, di Richard Linklater (Hit Man, Stati Uniti 2023 115 min.).

Richard Linklater ci ha abituati a ben altri livelli. La sua cinematografia eterogenea, quasi camaleontica, ha molto spesso regalato al pubblico esperienze originali e coinvolgenti. Se pensiamo a “School Of Rock” non possiamo non ringraziarlo per averci mostrato una delle migliori interpretazioni di Jack Black. “A Scanner Darkly” ci ha fatto immergere in una storia, di Philip K. Dick, angosciante e onirica in cui la tecnica del “live action” veniva utilizzata per una trasformazione finale del girato in una sorta di film d’animazione molto fumettistico e dalle forti tinte “noir”. Con la trilogia “Before Sunrise, Sunset, Midnight” il regista statunitense ha cristallizzato in maniera inedita e definitiva l’evoluzione contorta di una storia d’amore importante e complicata. “Boyhood” è stato un esperimento la cui realizzazione è durata 12 anni per non sofisticare nulla di una storia la cui crescita di un bambino era al centro della narrazione. Con il recente “Che Fine Ha Fatto Bernadette”, poi, ci ha mostrato una Cate Blanchett folle ma pienamente padrona della sua vita. Insomma, Richard Linklate nella sua lunga e diversificata filmografia è riuscito a realizzare opere originali che si basavano su di un’idea genuina, a volte innovativa, e su una sceneggiatura scritta bene e trasformata sapientemente in immagini. “Hit Man”, invece, sembra più una clamorosa battuta d’arresto che un ennesimo esperimento cinematografico.

Il film, che vede il protagonista Glen Powell, qui anche sceneggiatore insieme al regista, nei panni di un insegnante di filosofia che si ritrova a fare il sicario sotto copertura per la polizia, mostra subito le sue criticità e i suoi punti deboli. La sceneggiatura pare sin dalle prime scene debole e retorica. Le battute si incastrano a metà tra una narrazione che vuole essere leggera e un ritmo che vuole apparire serrato e d’azione. Gli attori, Powell, la protagonista bellissima e surreale Adria Arjona, e tutti i personaggi della vicenda, sono pezzi artificiosi di una storia interessante ma rielaborata male e con una dose didascalica e retorica eccessiva.

La storia, che è tratta da una vicenda verosimilmente accaduta diversi anni fa e riportata sul “Texas Monthly”, giornale spesso spunto di idee per il regista, è semplice e lineare. Anche se tratta di presunti assassini e desiderati omicidi, viene raccontata in maniera leggera e divertente. L’intento dovrebbe essere “fa ridere ma anche riflettere”. Ma il risultato è deludente perché il flusso degli eventi è disordinatamente lineare e i protagonisti non riescono a sorreggere interamente le lacune grammaticali e sostanziali che la pellicola si porta dietro. Sotto il vestito di un “thriller” divertente e surreale troviamo una storia romantica, banale e iconografica, tra il finto killer e la bella portoricana che vuole uccidere il marito violento ma terribilmente ricco. Tra frecciatine, baci e battute ingessate, il bravo regista ci fa assistere ad un melodramma bidimensionale in cui anche il jazz di sottofondo stona clamorosamente.

L’idea interessante che un professore di filosofia, che insegna ai propri studenti l’ego come unione tra l’io razionale e l’io istintivo, possa ritrovarsi lui stesso invischiato in una lotta personale tra la ragione e l’istinto, tra essere ciò che è veramente e ciò che vorrebbe essere, con tutte le conseguenze pericolose e intriganti, evapora irrimediabilmente con l’incapacità di scavare la vicenda e i personaggi in maniera più poetica e meno stucchevole. Il risultato è, appunto, una narrazione trascinata che fatica ad appassionare ma capace soltanto di restituirci una scontata e soporifera vicenda amorosa.

Una storia realmente accaduta in cui la confusione di ruoli, l’identità nascosta e mutata e il dilagante desiderio di uccidere qualcuno per illudersi di raggiungere la felicità sono i cardini narrativi su cui si poggia la pellicola, che poteva, e doveva, essere sviluppata con maggior capacità descrittiva, narrativa e con una minore dose di enfasi e didascalizzazione dei personaggi e delle loro battute. Peccato.

***

RIVISTO

COLLATERAL, diMichael Mann (Stati Uniti 2004, 120 min.).

Adrenalinico e violentemente “noir” con un Tom Cruise che avrebbe meritato l’Oscar. Michael Mann dirige in maniera superlativa Cruise e Foxx in un viaggio angosciante nei punti più bui dell’anima di un uomo freddo e sospeso tra il bene ed il male. Un film di vent’anni che non mostra la sua età. Da rivedere.

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